Ad un anno dall’entrata in vigore dell’istituto della Composizione negoziata della crisi ed a quattro mesi dal varo del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, è tempo di trarre i primi bilanci su luci ed ombre di queste novità legislative.
Le maggiori criticità sono indubbiamente quelle che sono state evidenziate dalla Composizione negoziata, istituto che ha avuto uno scarsissimo numero di adesioni in rapporto alle aspettative ed alla quantità di esperti che si sono formati ed accreditati per svolgere tale fondamentale ruolo nell’ambito di detto strumento.
A fronte di un censimento nazionale di circa 28.860 imprese che manifestano sintomi di criticità finanziaria e fiscale, dopo un anno dall’avvio risultano presentate solo 485 istanze di accesso alla composizione negoziata, di cui il 68% chiede di ottenere le misure protettive contro le possibili aggressioni di creditori.
Tra i principali motivi di scarsa adesione a quello che secondo le attese avrebbe dovuto essere uno strumento di massa per la soluzione delle situazioni di crisi, se ne possono enucleare almeno tre che sembrano aver particolarmente disincentivato le imprese.
Il primo riguarda la necessità da parte del soggetto istante che intenda chiedere la concessione delle misure protettive, di presentare, tra gli altri documenti richiesti a pena d’inammissibilità della domanda, il certificato unico dei debiti tributari rilasciato dall’Agenzia delle entrate, la situazione debitoria complessiva attestata dall’Agenzia delle entrate Riscossione e il certificato dei debiti contributivi e premi assicurativi rilasciato dall’INPS. Per l’ottenimento di detti certificati il tempo minimo indicato dai rispettivi enti è di 45 giorni, tempistica incompatibile con la necessità dell’impresa in crisi di ottenere le misure protettive a seguito della presentazione della domanda di composizione negoziata che l’espone all’aggressione da parte dei creditori e comunque contrastanti con la finalità dell’istituto, che mira alla individuazione e soluzione precoce della crisi, prima cioè che essa degeneri in stato di insolvenza.
Un secondo motivo, più genericamente riferibile all’intero impianto del Codice della crisi, è determinato dal mancato coordinamento con la normativa vigente in materia di vigilanza bancaria, che impone agli istituti di credito comportamenti di fatto incompatibili con le varie discipline degli strumenti introdotti dal nuovo codice tra i quali, appunto, la Composizione negoziata, volti a favorire la soluzione della crisi attraverso la continuità aziendale. Così, se da un lato la presentazione della domanda di composizione negoziata non può essere motivo di sospensione o revoca degli affidamenti concessi, salvo quanto richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale, dall’altro le stesse norme di disciplina bancaria richiamate impongono agli istituti di credito di non erogare nuovi finanziamenti, anche sotto forma mantenimento in essere delle linee di credito esistenti, ad imprese che si auto dichiarino in stato di crisi, dovendo per contro appostare a riserva gli importi dei finanziamenti già a queste erogati. Chiara è quindi la situazione di cortocircuito che si viene in tal modo ad ingenerare nel sistema a causa di tale mancato coordinamento normativo.
Il terzo motivo è determinato dall’impossibilità per l’impresa in crisi che attiva il procedimento di Composizione negoziata di poter ricorrere alla transazione fiscale, facoltà invece prevista nell’ambito di altri strumenti previsti dal Codice della crisi. Ciò esclude di fatto il ricorso alla Composizione negoziata da parte di soggetti gravati da ingenti debiti fiscali e previdenziali, dato che questo istituto non consente lo stralcio di detti debiti.
Vi è quindi ampia materia per una riflessione da parte del legislatore e per un suo tempestivo intervento normativo finalizzato ad una migliore ed effettiva fruibilità dello strumento della Composizione negoziata da parte delle imprese in crisi, anche stante la prospettiva che il loro numero sia destinato ad aumentare nel prossimo futuro caratterizzato, secondo gli analisti, dalla prospettiva della recessione economica.
di Fabio Gabrieli - avvocato
Consulente Federcontribuenti
Componente MIG – Network Professionisti d’Impresa
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